Perché la democrazia va difesa.
Non è il governo degli incompetenti
La prefazione di Sabino Cassese a un
libro del filosofo politico americano Jason Brennan (Luiss
University Press) che critica i sistemi rappresentativi
di Sabino Cassese
La democrazia
rappresentativa è nata come forma epistocratica e tale è
rimasta per lungo tempo, nell’antichità prima e poi in tutto
il periodo del suffragio limitato. L’elezione era
considerata ancora alla fine del XVIII secolo la scelta di
chi possiede più saggezza per discernere e più virtù per
perseguire il bene comune (Federalist papers, n. 57). Il
fondatore del diritto pubblico italiano, uno studioso che è
stato attivo anche come uomo politico per più di trent’anni,
Vittorio Emanuele Orlando, riteneva che l’elezione fosse una
designazione di capacità: un gruppo ristretto di elettori
indicava quelli che riteneva capaci di gestire problemi
collettivi. Chi votava, sceglieva non solo kratos, ma anche
aretè e epistème, non solo forza, ma anche virtù e
competenza.
Questo valeva quando il suffragio era limitato per censo, o per grado
di istruzione, o per esperienza nell’esercizio di
funzioni pubbliche. Successivamente, il suffragio è
stato allargato prima, progressivamente, alle sole
persone di sesso maschile, poi anche alle donne e si è
diffusa l’idea che all’eguaglianza nella titolarità
dell’elettorato attivo corrispondesse eguaglianza delle
capacità.
Idea, quest’ultima, molto singolare e persino
smentita dalle norme. Singolare perché è palese che
l’aver attribuito ai cittadini un compito tanto gravoso
quanto il governo della «casa comune», in condizioni di
eguaglianza, non comporta che tutti i cittadini siano
egualmente edotti delle esigenze di gestione della «casa
comune», capaci di scegliere tra i diversi indirizzi di
gestione, abili nello scegliere le persone giuste,
idonei ad assumere essi stessi funzioni di governo.
In secondo luogo, la parificazione di eguaglianza
formale e di eguaglianza sostanziale in materia politica
è smentita dalla Costituzione, la quale riconosce la
prima, ma prevede che la Repubblica abbia il compito di
rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale
che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei
cittadini, impediscono l’«effettiva partecipazione
all’organizzazione politica, economica e sociale del
Paese» (articolo 3). Quindi, la Costituzione assume che
vi siano diseguaglianze di diverso ordine che ostacolano
l’effettiva partecipazione politica. Di fatto, per circa
un secolo, il vuoto creato dal suffragio universale è
stato riempito da un altro sistema di formazione e di
selezione: gli Stati hanno delegato il compito di
superare le diseguaglianze tra i cittadini, ai fini
della partecipazione politica, ai partiti, che hanno
svolto il compito di «palestra» per la formazione e la
selezione dei candidati. Ma, a un certo punto, anche i
partiti sono venuti meno.
Oggi, anche per la diffusione di istanze
populistiche, molte classi dirigenti, nel nuovo
millennio, hanno raggiunto — ma non in tutti i Paesi in
maniera eguale — un grado di mediocrità tale da
suscitare reazioni antidemocratiche. Una di queste,
molto ben articolata, si trova nel volume di Brennan,
programmaticamente intitolato Contro la democrazia (Luiss
University Press), un’opera nella quale il punto di
partenza è che l’epistocrazia (il governo di coloro che
conoscono, dei competenti) condurrebbe a migliori
decisioni, più giustizia, più prosperità.
La democrazia rappresentativa è criticata
principalmente perché la maggior parte dell’elettorato
ha bias cognitivi che lo portano a deviare
sistematicamente da scelte razionali: basti pensare ai
costi del terrorismo per gli Stati Uniti (3.500 persone
morte negli ultimi 50 anni e 30 miliardi di dollari),
comparati a quelli della guerra al terrorismo (8 mila
morti, senza calcolare i circa 100-200 mila civili
innocenti stranieri e una spesa oscillante tra 3 e 4
trilioni di dollari). Questi inconvenienti inducono
Brennan a proporre di distribuire il potere politico in
proporzione alla conoscenza o competenza.
Sono accettabili le proposte epistocratiche di
Brennan?
In primo luogo, Brennan non considera come operano
gli ordini giuridici democratici. Negli ordinamenti
democratici, democrazia è contrapposta o integrata da
democrazia: negli Stati Uniti, si vota per le Contee,
per gli Stati, per il Congresso (separatamente per la
Camera dei rappresentanti e per il Senato). Dunque, un
popolo non competente può essere controllato, e corretto
da altre istanze popolari.
Inoltre i poteri pubblici non sono tutti egualmente
democratici, perché non tutto il potere è affidato a
istituzioni democratico-elettive. Il potere è ripartito
ed in larga misura messo nelle mani di competenti, quali
sono i funzionari amministrativi e i giudici federali.
Brennan, come molti studiosi della democrazia, non
presta attenzione al pluralismo, alla ripartizione del
potere tra organismi diversi, agli ampi spazi nei quali
operano organismi i cui meccanismi di selezione sono
epistocratici o meritocratici, organismi che possono
giungere persino a controllare quelli democratici in
senso stretto, perché elettivi.
Il plaidoyer in favore di sistemi politici meno
affidati a incompetenti è, quindi, inutile? Non credo
che sia inutile, perché vi sono ancora spazi per
innestare ulteriori elementi epistocratici nelle
democrazie. Se all’idraulico e al medico è richiesto di
conoscere un mestiere, non è opportuno richiedere a chi
deve svolgere un compito tanto più socialmente
importante come quello di rappresentante o di
governante, un certo grado di preparazione?
Quindi, l’epistocrazia può operare come correzione
della democrazia, come un suo limite, non al posto della
democrazia. Oggi il suffragio universale è il meccanismo
principale per dare legittimità al governo e non se ne
può fare a meno. Tuttavia, requisiti ulteriori di
candidabilità possono essere disposti, insieme con
azioni positive che diano un contenuto al principio di
eguaglianza in senso sostanziale, per rendere concreto
l’art. 3 della Costituzione.
Pubblicato su Corriere della Sera il 21 febbraio 2018
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FARE MIRACOLI, ma tutti INSIEME !
"Sui diritti dei cittadini, necessaria chiarezza
normativa e obiettivi precisi, la ricerca di
compromessi al ribasso non aiuta".
Così ha dichiarato Enrico Buemi, Capogruppo Psi
in commissione Giustizia al senato, a margine
della seduta in cui procede l'esame degli
emendamenti presentati al Ddl Cirinnà sulle
unioni civili. "E' evidente che la parificazione
delle unioni civili al matrimonio, non in
termini morali ma nei riflessi sulla finanza
pubblica che ne deriverebbero, anche per le
eventuali strumentalizzazioni per finalità
puramente economiche, rappresenta un problema
che deve essere valutato - ha commentato Buemi -
ma ciò non toglie che l'Italia, senza una legge
seria sulle unioni omosessuali, rimane fuori dal
contesto dei paesi civili in materia di diritti
individuali e di coppia", ha aggiunto il
senatore socialista. "Inoltre, rende difficile
il confronto l'ostruzionismo diffuso su tutti i
punti significativi di una normativa che,
comunque, contiene una complessità per le
interazioni con altri istituti giuridici
fondamentali per i cittadini", ha concluso Buemi.
- See more at: http://www.partitosocialista.it/index.php/component/k2/unioni-civili-buemi-la-ricerca-di-compromessi-non-aiuta#sthash.Xbgl9rjl.dpuf
"Sui diritti dei cittadini, necessaria chiarezza
normativa e obiettivi precisi, la ricerca di
compromessi al ribasso non aiuta".
Così ha dichiarato Enrico Buemi, Capogruppo Psi
in commissione Giustizia al senato, a margine
della seduta in cui procede l'esame degli
emendamenti presentati al Ddl Cirinnà sulle
unioni civili. "E' evidente che la parificazione
delle unioni civili al matrimonio, non in
termini morali ma nei riflessi sulla finanza
pubblica che ne deriverebbero, anche per le
eventuali strumentalizzazioni per finalità
puramente economiche, rappresenta un problema
che deve essere valutato - ha commentato Buemi -
ma ciò non toglie che l'Italia, senza una legge
seria sulle unioni omosessuali, rimane fuori dal
contesto dei paesi civili in materia di diritti
individuali e di coppia", ha aggiunto il
senatore socialista. "Inoltre, rende difficile
il confronto l'ostruzionismo diffuso su tutti i
punti significativi di una normativa che,
comunque, contiene una complessità per le
interazioni con altri istituti giuridici
fondamentali per i cittadini", ha concluso Buemi.
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"Sui diritti dei cittadini, necessaria chiarezza
normativa e obiettivi precisi, la ricerca di
compromessi al ribasso non aiuta".
Così ha dichiarato Enrico Buemi, Capogruppo Psi
in commissione Giustizia al senato, a margine
della seduta in cui procede l'esame degli
emendamenti presentati al Ddl Cirinnà sulle
unioni civili. "E' evidente che la parificazione
delle unioni civili al matrimonio, non in
termini morali ma nei riflessi sulla finanza
pubblica che ne deriverebbero, anche per le
eventuali strumentalizzazioni per finalità
puramente economiche, rappresenta un problema
che deve essere valutato - ha commentato Buemi -
ma ciò non toglie che l'Italia, senza una legge
seria sulle unioni omosessuali, rimane fuori dal
contesto dei paesi civili in materia di diritti
individuali e di coppia", ha aggiunto il
senatore socialista. "Inoltre, rende difficile
il confronto l'ostruzionismo diffuso su tutti i
punti significativi di una normativa che,
comunque, contiene una complessità per le
interazioni con altri istituti giuridici
fondamentali per i cittadini", ha concluso Buemi.
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normativa e obiettivi precisi, la ricerca di
compromessi al ribasso non aiuta".
Così ha dichiarato Enrico Buemi, Capogruppo Psi
in commissione Giustizia al senato, a margine
della seduta in cui procede l'esame degli
emendamenti presentati al Ddl Cirinnà sulle
unioni civili. "E' evidente che la parificazione
delle unioni civili al matrimonio, non in
termini morali ma nei riflessi sulla finanza
pubblica che ne deriverebbero, anche per le
eventuali strumentalizzazioni per finalità
puramente economiche, rappresenta un problema
che deve essere valutato - ha commentato Buemi -
ma ciò non toglie che l'Italia, senza una legge
seria sulle unioni omosessuali, rimane fuori dal
contesto dei paesi civili in materia di diritti
individuali e di coppia", ha aggiunto il
senatore socialista. "Inoltre, rende difficile
il confronto l'ostruzionismo diffuso su tutti i
punti significativi di una normativa che,
comunque, contiene una complessità per le
interazioni con altri istituti giuridici
fondamentali per i cittadini", ha concluso Buemi.
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Così ha dichiarato Enrico Buemi, Capogruppo Psi
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delle unioni civili al matrimonio, non in
termini morali ma nei riflessi sulla finanza
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che deve essere valutato - ha commentato Buemi -
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contesto dei paesi civili in materia di diritti
individuali e di coppia", ha aggiunto il
senatore socialista. "Inoltre, rende difficile
il confronto l'ostruzionismo diffuso su tutti i
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fondamentali per i cittadini", ha concluso Buemi.
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