Responsabile

 

Enrico Buemi

 

 

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Qui gatta ci cova!

Interventi in Aula del sen. Buemi sulla richiesta di arresto del sen. Antonio Caridi

Signor Presidente, vorrei semplicemente porre una questione che credo riguardi la sua decisione, ma anche la sua coscienza e il suo precedente ruolo di magistrato.

Nei giorni scorsi, quando abbiamo esaminato la questione riguardante il collega Giarrusso, lei si è assunto la responsabilità di rinviare al giorno successivo, perché il collega Giarrusso era assente da quest'Aula, in missione.

Ora, io credo che, a fronte di un calendario dei lavori d'Assemblea stabilito nei giorni scorsi, bisogna riconoscere al collega Caridi la possibilità di assentarsi dall'Aula fino al momento in cui non verrà esaminata la questione che lo riguarda.

L'inversione dell'ordine del giorno che lei ha disposto in base ai poteri che il Regolamento le conferisce, Presidente, ha mutato questa situazione. Il collega Caridi qui non c'è e le chiedo, pertanto, di mantenere la situazione precedente, in modo da garantirgli lo stesso trattamento che è stato garantito al collega Giarrusso.  Uno era in missione, ma l'altro, fino a mezz'ora fa, sapeva che i lavori di quest'Aula si sarebbero svolti secondo l'ordine precedentemente indicato, vale a dire prima l'esame del provvedimento che avevamo iniziato a discutere ieri, poi la trattazione della questione riguardante il collega Minzolini e, successivamente, la sua.

Signor Presidente, lei non è più magistrato e questo può essere un vantaggio o uno svantaggio per il Paese.  È però Presidente a garanzia di questo Senato ed io la invito ad assumere atteggiamenti coerenti ed uguali nei confronti di tutti i membri di questo ramo del Parlamento.

Senza guardare al futuro, Presidente, guardiamo al presente, perché è nel presente che facciano giustizia o ingiustizia: il futuro lo hanno in mano gli altri.

 


 

Signor Presidente, colleghi, non so, non sono in grado, non voglio e non è mio compito decidere in questa sede se il collega Caridi è innocente o colpevole.

Non sono un fine giurista e non ho fatto il magistrato, né l'avvocato. Mi occupo di giustizia perché nel 2001 gli altri colleghi del mio Gruppo decisero di occuparsi di tutte le altre Commissioni e a me non rimase che entrare a far parte della Commissione giustizia.

Tuttavia, nella mia ormai lunga vita, un giorno ho trovato un bel titolone di giornale con scritto: "Buemi accusato di estorsione". Si trattava delle pagine dell'edizione torinese del quotidiano «la Repubblica» del 1994, 1995 o 1996 (non ricordo). Chi è interessato, può andare a cercare nell'archivio del quotidiano. Mi telefonò un mio amico chiedendomi cosa avevo combinato. Risposi che non sapevo nulla. Egli mi disse che il mio nome era citato sul quotidiano «la Repubblica» con l'accusa di estorsione. Corro in edicola, compro il giornale e individuo il nome del pubblico ministero agente. Chiamo la procura e mi faccio passare il pubblico ministero, che gentilmente mi risponde e mi dice: signor Buemi, non si preoccupi, è un'indagine. Il mio nome, però, nel frattempo era comparso sulle pagine del quotidiano «la Repubblica» con l'accusa di estorsione. Io faccio l'imprenditore e l'accusa di estorsione per un imprenditore non è cosa lieve. Certo non è l'accusa di appartenere alla cupola della 'ndrangheta di Reggio Calabria, ma per uno come me era un accusa pesante, signor Presidente. Di cosa si trattava? Ricordo di aver detto al signor procuratore che sarebbe bastato andare nella sede della mia azienda, prendere la delibera del consiglio d'amministrazione e leggerla per verificare che colui che mi accusava di estorsione aveva votato con me quella delibera. «Ah sì? Me la porti». Così ha risposto il procuratore. Due ore dopo quella delibera era sul tavolo del sostituito procuratore della Repubblica di Torino.

Quanti anni sono passati?

Son passati ventun anni e non ho più saputo niente. Immagino che quel sostituto abbia assunto qualche conclusione.

Dunque, sono stato messo alla berlina perché un agente, un operatore della giustizia - un magistrato o un appartenente all'autorità di polizia giudiziaria - non aveva pensato che forse avrebbe dovuto fare qualche approfondimento prima di parlare con i giornalisti. Aggiungo infatti che non ho mai ricevuto alcuna comunicazione, né giudiziaria né di garanzia. Forse dovrei definirla comunicazione di "incolpazione", perché penso che per l'opinione pubblica si tratto di una comunicazione di "incolpazione", più che di garanzia.

Pur non essendo un fine giurista, signor Presidente, pur non essendo un magistrato, un professore di scienze giuridiche o un avvocato, la vita mi ha insegnato che sotto Dio non c'è nessuno meglio di me: siamo tutti uguali, tutti deboli e tutti con le nostre miserie umane, anche se facciamo i procuratori della Repubblica, anche se facciamo il Presidente del Senato. Me lo consenta, signor Presidente: anche se facciamo il Presidente del Senato. Cosa rimane, dunque, signor Presidente? La faccio breve: rimane la mia coscienza. Quando nella prima riunione della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari ho visto che c'era una sentenza scritta della Giunta e un calendario definito, ho detto: qui gatta ci cova!  Dunque, pur senza avere la competenza del collega Caliendo, sono andato a leggermi qualche atto e le intercettazioni che erano a disposizione.

L'intervento nel merito lo farò dopo, signor Presidente, ma mi sono convinto che quello che stavamo facendo - e mi riallaccio alla valutazione precedente sul colpevole e l'innocente - era una compressione del diritto alla difesa del collega Caridi. Questo, signor Presidente, per un Paese che si vuole annoverare tra coloro che hanno una grandissima civiltà giuridica, è inaccettabile. Il diritto alla difesa nelle sedi deputate è un diritto garantito costituzionalmente e deve essere garantito prima di tutto ai colpevoli. Lo ripeto: prima di tutto ai colpevoli!

Solo così si arriva ad un processo giusto e io voglio un processo per il collega Caridi. Se la magistratura ha ritenuto di aprire un' inchiesta, è giusto che la sede in cui si definisce se è innocente o colpevole deve essere quella a ciò deputata dalla nostra Costituzione, ovvero il tribunale, la corte d'appello, l'eventuale Cassazione e non questa Assemblea. Quindi non decidiamo, colleghi, sull'innocenza e la colpevolezza del collega Caridi, ma prima di tutto decidiamo se gli abbiamo garantito, almeno in questa prima fase della discussione di oggi, il diritto alla difesa. Signor Presidente, ho abbandonato due volte le riunioni della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, perché il diritto alla difesa non veniva garantito. Non mi sono messo in pista oggi: nella prima riunione della Giunta ho detto che comprimere i tempi in questa maniera è un errore. Alcuni volevano decidere già lunedì, altri volevano decidere martedì. È come se in un processo - e noi in qualche misura facciamo un processo preliminare - avessimo già deciso tutto.

Colleghi, se avessimo già deciso tutto noi della Giunta, anzi, se avessero deciso tutto il Presidente della Giunta e qualcun'altro, allora noi potremmo essere definiti, con un termine forte e anche volgare, con degli attributi "pendenti". Avete presente?

Invece noi non siamo pendenti! Io non sono pendente! Io decido con la mia coscienza. Per me non decidono né il mio segretario di partito, né il mio Capogruppo, né il Capogruppo di altre forze politiche di maggioranza o di minoranza, né il Presidente del Senato, né il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria (persona che stimo) e neanche il gip di Reggio Calabria: in questa sede decido io.

Pertanto, signor Presidente, rinnovo l'invito a garantire i diritti alla difesa e alla conoscenza di tutti noi, che sono collegati al diritto alla difesa del collega Caridi, affinché noi possiamo leggere gli atti e affinché voi possiate leggere gli atti. Io mi sono già convinto della tragedia e della ingiustizia in corso, che prescindono dall'innocenza o colpevolezza del collega Caridi.

 


 

Signor Presidente, colleghi, non posso nascondere la fatica che provo, ogniqualvolta affrontiamo questioni come questa, nel cercare di realizzare percorsi di serenità e di equilibrio in attività, verso le quali il Senato viene chiamato, che hanno una grandissima rilevanza per le decisioni che devono essere prese, per l'immagine che diamo al Paese e per gli effetti che producono all'esterno sui soggetti che vengono da noi presi in esame, ma anche per la credibilità di organi esterni verso i quali riservo un altissimo rispetto; mi riferisco alla magistratura. Però, nell'azione di ricerca di questo equilibrio, spesso vedo rifiutare il dovere e il diritto di esercitare fino in fondo il nostro mandato e, in particolare, questo mandato con tutta la responsabilità e la capacità di analisi che si richiede. Noi non stiamo decidendo di un qualsiasi emendamento che, per la verità, ha anche una sua importanza perché è rivolto al Paese e agli interessi dei cittadini che rappresentiamo. Noi esercitiamo una funzione giurisdizionale o paragiurisdizionale - definitelo come volete - e diamo un avallo oppure lo neghiamo in base a un principio costituzionale che ci chiama ad esercitare una funzione altissima che, seppur ridimensionata dalle modifiche costituzionali varate negli anni Novanta, è di grandissima responsabilità. Noi non possiamo essere soggetti a tempistiche, a pressioni mediatiche, a obiettivi di parte e a protagonismi di vario tipo. Noi dobbiamo esercitare questa funzione con il massimo dell'onestà intellettuale possibile, cosa che dovremmo avere sempre, se nelle altre questioni che riguardano il dibattito politico questa sensibilità potrebbe anche essere attenuata.

Ho detto nel mio precedente intervento che ho vissuto questi giorni con grandissimo disagio, perché era tutto scritto prima che conoscessimo le carte e, addirittura, prima che le carte arrivassero al Senato, quando sui giornali sono comparsi i contenuti di questa vicenda giudiziaria. C'era già chi premeva per arrivare a decisioni scontate; c'era già chi si preparava a chiedere al Presidente del Senato l'accelerazione di questi tempi. In qualsiasi iniziativa e ruolo che deve prendere in esame questioni delicate, anche quando vengono stese consulenze e pareri, la riflessione è d'obbligo. Qui noi prendiamo una decisione definitiva rispetto alla privazione della libertà di un collega e la affrontiamo con il massimo della superficialità, con tempi definiti, non leggendo i documenti e avendo già un pregiudizio di partenza. Colleghi, io non ci sto, non ci posso stare, né che la cosa riguardi un membro della maggioranza, né che riguardi un membro dell'opposizione. Non ci posso stare, né per un simpatico, né per un antipatico; non ci posso stare né per Caridi, né per Giarrusso. Non vorrei che dimenticassimo questo aspetto, perché l'articolo 68 vale per tutti; vale per entrambi quando si parla d'insindacabilità e vale anche quando noi siamo chiamati a decidere se autorizzare la privazione della libertà del collega Caridi.

E veniamo al merito, colleghi.

Come dicevo prima, non sono un giurista; ho una lunga esperienza di vita, ma qualcosa in questi anni ho dovuto impararla. La prima è che nel nostro ordinamento non abbiamo un sistema bilanciato. Noi abbiamo, sì, un giudice terzo, abbiamo, sì, un avvocato della difesa, ma abbiamo un pubblico ministero dell'accusa che è un appartenente all'ordine giudiziario. E tra gli obblighi di questo magistrato dell'accusa, del pubblico ministero, c'è non soltanto quello di ricercare gli elementi a sostegno della sua accusa, ma anche quello di cercare gli elementi a discarico dell'imputato.

Dico questo perché alcuni mi diranno: ma in questa vicenda non c'è fumus. Beh, colleghi, io vedo anche l'"arrostus", non solo il fumus. E l'"arrostus" è che il pubblico ministero, pur essendo obbligato a ricercare le prove a discarico, negli atti che ci ha prodotto ha omesso le prove a discarico; ha omesso di criticare le testimonianze del collaborante o del dichiarante; ha omesso di svolgere fino in fondo il suo ruolo di magistrato: non di avvocato dell'accusa, ma di magistrato dell'accusa, che nel nostro ordinamento è cosa completamente diversa.

Se ci trovassimo nell'ordinamento americano o britannico, l'avvocato dell'accusa tira fuori gli elementi a sostegno dell'accusa, l'avvocato della difesa tira fuori gli elementi a sostegno della difesa, e il giudice, che non è collega del pubblico ministero o dell'avvocato dell'accusa, giudica.

In Italia non è così, e non è così per nostra, anzi per vostra responsabilità, colleghi, perché io ho sostenuto la separazione delle carriere tra accusa e magistratura giudicante.

Ma questo magistrato aveva l'obbligo di evidenziare, come aveva l'obbligo di fare il presidente Stefano (l'ha fatto solo con particolare esiguità di argomenti e sotto la pressione di molti colleghi della Giunta), di citare gli elementi contraddittori che erano presenti nella documentazione a favore dell'ordinanza cautelare. E ha dovuto mettere a disposizione questi elementi la difesa del collega Caridi, con fatica, con ritardo, perché i tempi consentiti alla difesa del collega sono stati fin dall'inizio esigui, inaccettabili in un procedimento di questa rilevanza.

Gli indizi su cui si regge tutta questa vicenda: il sostegno dell'organizzazione mafiosa a livello elettorale del collega. Le documentazioni che ci sono state messe a disposizione dal collega, non smentite dal relatore, non smentite se non attraverso frasi contraddittorie e spesso false del pubblico ministero, che afferma questioni che poi a livello di dati elettorali sono smentite (i dati elettorali sono depositati presso gli uffici elettorali dei Comuni e della Regione), dimostrano che questo sostegno al collega da parte della 'ndrangheta o delle cosche mafiose non c'è stato.

Guardate, colleghi, io non voglio neanche mettere in discussione questo elemento; questi elementi devono essere nel processo. Quello che contesto è la misura cautelare di privazione della libertà del collega. Si dice che al Caridi venivano chiesti emendamenti e che lui era il tramite. Ma, colleghi, fuori dalle omertà e dalle amicizie, il collega Caridi era l'unico a cui si ipotizzava di chiedere interventi in Aula ed emendamenti? Io, che sono un garantista, non faccio i nomi degli altri perché, rispetto a semplici affermazioni di mafiosi, che si potevano chiedere a questo o quell'altro, mi fido di più di quello che leggo e vedo. Basta questo per chiedere l'arresto del collega? Basta questo per chiedere l'arresto del collega quando egli ammette di aver promosso e sostenuto l'assunzione di quattro o cinque lavoratori a tempo determinato?

Colleghi, sono stato eletto in Piemonte, ma per ragioni di responsabilità di partito frequento molto il Sud oltre ad avere origini in quei territori. Sto parlando della Sicilia e non della Calabria. Vi dico la verità: ogni volta che vado in Sicilia - poche volte, per la verità - ho difficoltà a distinguere il nero dal bianco. Spesso tutto è grigio. Anche quando vado in Calabria vi garantisco che - pur non appartenendo ad alcuna organizzazione mafiosa o di altro tipo, ma a un semplice partito e piuttosto esiguo, per la verità - torno in Senato con le tasche piene di richieste di assunzioni, di interventi presso il Ministero dell'economia e delle finanze o altro, e di trasferimenti che regolarmente metto nel cassetto. Il mio ufficio è aperto e, chi vuole, può verificare che nei miei cassetti ci sono plichi di queste raccomandazioni, che ovviamente non eseguo. Esse sono però la testimonianza di come, in certi territori, purtroppo, la politica è sottoposta a una pressione continua di tipo clientelare. Allora, solo per questi fatti, dobbiamo far passare l'idea che chiunque fa una raccomandazione è un appartenente a un'organizzazione criminale di mafia, 'ndrangheta o altro tipo? Questi elementi, richiamati all'interno dei documenti della richiesta di arresto, devono essere provati. Si tratta, semplicemente, di una serie di ipotesi accusatorie che non fanno però diventare un parlamentare un criminale verso cui deve essere giustificata una misura di questo tipo.

Colleghi, noi abbiamo un obbligo: il nostro obbligo è quello di stabilire, ancora una volta, l'autonomia piena delle istituzioni politico-parlamentari da quelle altre istituzioni, che esercitano tutte un ruolo legittimo e fondamentale. Mi riferisco alla magistratura.

Esistono l'articolo 68 della Costituzione, la Giunta delle elezioni e delle immunità, la decisione che deve prendere quest'Aula in materia di privazione della libertà di un collega. Noi dobbiamo esercitare fino in fondo il nostro potere di critica e di valutazione rispetto agli atti che la magistratura ci sottopone. La magistratura avrebbe potuto procedere all'arresto del collega, non lo può fare perché deve passare attraverso la nostra critica e valutazione. Il primo dovere che abbiamo è quello di esprimerci con serenità, senza pregiudizi e schemi di maggioranza e opposizione e senza la preoccupazione di pressioni esterne o passate per favoreggiatori di questo o quell'altro, rispetto a una questione di grande gravità che vuol dire menomare il plenum di quest'Assemblea. Qualche collega ha citato altre vicende politico-parlamentari che hanno messo in discussione la linea del Paese, le maggioranze e le prospettive politiche. Non ci sono solo quelle, colleghi; ce ne sono state tante altre nella storia di questo nostro Paese, ma anche di altri Paesi, che ci devono far riflettere sul fatto che il nostro primo compito è esprimere, con serenità, convincimento e penetrazione di conoscenza, una decisione che spetta solo a noi e a nessun'altro.

 


 

Sulla prosecuzione dei lavori

Signor Presidente, avendo svolto il nostro compito prioritario di consegnare il collega alle patrie galere, credo che il Paese attenda anche il nostro lavoro di legislatori, quindi io sono per continuare.

 


 

Signor Presidente, non voglio coercizzare la volontà dei colleghi, però fino a ieri noi siamo stati qui impegnati, senza orario di chiusura, per portare avanti un provvedimento legislativo che, a dire vostro, non mio, era importante. Ma questa mattina abbiamo dovuto prendere atto che c'era un provvedimento più urgente e la volontà dell'Aula si è espressa con il voto in conformità al suo punto di vista, signor Presidente.

Tuttavia, il Paese attende non soltanto provvedimenti giudiziari; il Paese attende provvedimenti di merito e questa dovrebbe essere la nostra attività principale. Chiedo dunque ai colleghi: ma quello che era urgente ieri sera, oggi non è più urgente, dopo che abbiamo risolto il problema Caridi? Ditemelo, perché se vogliamo andare in vacanza, sappiate che ne ho bisogno anche io. Ditemelo: se quello che era urgente ieri, oggi non lo è più e per quale ragione?

4 agosto 2016

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