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Enrico Buemi

 

 

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Intervista a Pia Locatelli

Il testamento biologico non è eutanasia

Dopo il disperato appello al presidente Mattarella, Fabo ha scelto la Svizzera per mettere fine alle sue sofferenze. Tetraplegico e cieco, dopo anni di terapie senza esito, Fabo si è rivolto, come altri prima di lui, all’Associazione Luca Coscioni e accompagnato da Marco Cappato, che rischia fino a 12 anni di carcere per il reato di aiuto al suicidio, si è tolto la vita mordendo un pulsante per attivare l’immissione del farmaco letale. Una decisione che ha riaperto il dibattito sul fine vita e su una legge che da anni attende il varo del Parlamento. Ora c’è un testo, approvato dalla Commissione Affari sociali che dovrebbe arrivare in Aula la prossima settimana, ma visti i precedenti (siamo già al terzo rinvio), il condizionale è d’obbligo. Ne parliamo con Pia Locatelli, capogruppo PSI alla Camera e coordinatrice dell’Intergruppo per il testamento biologico.

La scelta di Fabo può servire per accelerare l’approvazione della legge?

Quello di Fabo è un caso molto delicato e la sua decisione merita senza dubbio rispetto. Occorre però essere molto chiari, proprio per non fornire armi a chi non vuole che si approvi il testo in discussione in Parlamento: la legge sul testamento biologico, anzi sulle DAT disposizioni anticipate di trattamento (questo è il nome del provvedimento) non ha nulla a che vedere con l’eutanasia. In Commissione Affari sociali, grazie al lavoro della relatrice Lenzi, abbiamo approvato un testo molto equilibrato che permette ai cittadini di scegliere a quali cure sottoporsi anche quando non saranno più in grado di esprimere la propria volontà.

Il diritto a scegliere le cure però è già sancito dalla Costituzione…

Si lo è. Io posso scegliere se sottopormi o meno a un intervento, se seguire o meno una cura, se sottopormi o meno a una trasfusione. La cosa paradossale è che nel momento in cui non sono più in grado di esprimere la mia volontà questo diritto viene meno e decidono altri per me. Con la legge che stiamo discutendo ognuno potrà dichiarare anticipatamente le proprie volontà e queste volontà dovranno essere rispettate.  Naturalmente le decisioni sono reversibili e si avrà sempre la possibilità di modificarle.

Se la politica si fosse mossa prima Fabo avrebbe potuto evitare di andare a morire in esilio?

No. La sua situazione non sarebbe cambiata né con la legge che stiamo andando ad approvare, ma neanche con le altre leggi, molto più avanzate, che sono in vigore in alcuni Paesi europei. Anche in quegli Stati dove è in vigore l’eutanasia, e ripeto da noi non è neanche in discussione una legge che la preveda, per potervi accedere sono necessari alcuni requisiti come quello di essere un malato terminale. Fabo non  lo era. Aveva un gravissimo handicap che gli procurava infinite sofferenze, ma non era in fin di vita e non era affetto da una malattia degenerativa che poteva portare al peggioramento delle sue condizioni. Nel suo caso, volendo porre fine alla sua vita,  poteva ricorrere, come ha fatto, solo al suicidio assistito.

Alcuni cattolici però sostengono che anche nel testo in discussione alla Camera si autorizza l’eutanasia.

Non è affatto vero e i cattolici che si oppongo a questo testo, che non sono tutti i cattolici, lo sanno benissimo. Sinceramente non mi aspettavo questa chiusura e questo duro ostruzionismo su un testo che è volto a ottenere il maggior consenso possibile. La stessa Chiesa si è pronunciata più volte contro l’accanimento terapeutico e a favore delle cure palliative. Nel Catechismo del 1993 c’è scritto che l’interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non impedirla. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente. Mentre nella la Nuova carta degli operatori sanitari presentata dal Vaticano una quindicina di giorni fa si conferma  l’eticità della sedazione palliativa profonda. In realtà sono cose che già esistono e che vengono praticate, con la legge sulle DAT non ci inventiamo nulla di nuovo vogliamo solo che quello che già si fa abitualmente in alcune strutture possa essere accessibile a tutti.

Ci sono state infatti molte sentenze come quella del caso Piluddo dove un giudice ha stabilito di spegnere i macchinari, o come quella recente di Montebelluna dove un malato terminale è morto sotto sedazione profonda. A cosa serve dunque una legge?

Serve per fa sì che non sia più necessario ricorrere a un giudice per vedere rispettato un proprio diritto, e che questo diritto sia accessibile a tutti e non solo ai malati che hanno la fortuna di imbattersi in strutture dove già si applicano le cure palliative.

Riuscirete ad approvarla in questa legislatura?

Me lo auguro. Alla Camera dovremmo essere in dirittura di arrivo. Il problema potrebbe essere al Senato. Certo non approvare la legge vorrebbe dire dover ricominciare tutto da capo e venir meno alle richieste di cittadini e cittadine che da anni, troppi, ci chiedono di veder rispettato il loro diritto di poter scegliere fino alla fine.

Intervista pubblicata su Avanti! il 28 febbraio 2017

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