Tangentopoli:la
storia scritta dai vincitori
Tiziana Maiolo
Il
1992 mi evoca subito il numero 41, i quarantuno morti suicidi di
Tangentopoli, che non hanno potuto scrivere la Storia per ovvie
ragioni, ma anche perché la Storia la scrivono i vincitori, e
loro erano i vinti. La storia dei Vinti è rimossa con fastidio,
dopo che uno dei Pubblici Ministeri di Milano, Gerardo
D’Ambrosio, aveva sentenziato, non senza un certo cinismo:
«Evidentemente c’è ancora qualcuno che ha il senso dell’onore».
Non
un dubbio sul fatto che il circo mediatico-giudiziario del
disonore che era stato cucito addosso a colpevoli e innocenti
sia stato il vero assassino, che ha colpito con violenza la
reputazione e la vita di persone che non avevano nessuna
possibilità di difendersi, incarcerati, disorientati e
sbeffeggiati.
Ma dalla parte dei trionfatori, che in occasione della fiction
di Sky invadono ogni angolo del pianeta della comunicazione, la
storia è stata raccontata come il puro trionfo del Bene sul
Male, un gruppo di magistrati-guerrieri senza macchia in lotta
contro una classe politica corrotta che ammorbava l’intera
società. Sulla scialuppa degli onesti erano saliti ben presto
imprenditori in lacrime, giornalisti-coccodè, uomini politici
con le tasche traboccanti di rubli, avvocati-accompagnatori
alleati del Pubblici Ministeri.
Ma
la storia di Tangentopoli potrebbe anche essere raccontata come
vera Storia Politica, come vicenda che segnò il trionfo massimo
di una giustizia di parte, che ebbe come protagonisti magistrati
politicizzati e un eroe tutt’altro che “senza macchia”. Che vide
complici con le toghe innanzi tutto quegli imprenditori che
avevano ben lucrato sul finanziamento illegale ai partiti, a
tutti i partiti, e che mai se ne erano lamentati, finché
l’arresto di otto di loro fece rendere conveniente agli altri
immaginare di esser stati sfruttati. Sono gli stessi che,
proprietari di giornali, decisero la campagna del Grande
Sputtanamento degli uomini politici, quelli sconvenienti, i non
allineati. Quelli che si salvarono dal carcere ripudiando se
stessi e la propria storia e accoltellando quelli che erano
stati i loro benefattori. La vacca non dava più latte. Non c’era
più pane e loro scelsero le brioches.
Il girotondo intorno ai protagonisti principali, magistrati e
imprenditori, era fatto di avvocati di grandi e piccoli studi,
che salivano festosi, ma in ginocchio, le scale fino al quarto
piano del Palazzo di giustizia tenendo per mano i proprio
assistiti pronti all’autodafè, mentre il Di Pietro di turno li
riceveva in ciabatte, rideva e agitava manette. Quelli bravi,
quelli amici, riuscivano a salvare l’assistito dal carcere e ne
venivano ricompensati. In vario modo e da diverse parti. Avevano
dimenticato il codice a casa, molti di questi avvocati, badavano
al sodo e basta.
C’erano poi i giornalisti-coccodè, i cronisti giudiziari che
ogni mattina fiutavano la preda, giovani entusiasti che
indossavano con orgoglio la maglietta che inneggiava all’eroe di
Mani Pulite, lavoravano in pool e non tornavano mai in redazione
a mani vuote, con il carniere pieno di verbali d’interrogatorio
( non erano ancora di moda le intercettazioni ), sicuri che
avrebbe apprezzato il direttore, ma soprattutto l’editore, lo
stesso che tremava se il campanello di casa suonava troppo
presto il mattino.
I fiaccolanti forse erano i più innocenti, cittadini che
facevano il girotondo intorno al Palazzo, nella
speranza-illusione che qualcosa cambiasse. Ma non c’erano solo
loro, c’era un po’ di tutto, in quelle manifestazioni, compresi
i cinici di nuovi movimenti politici che volevano solo
sostituirsi agli altri, e anche quelli che erano sulla scialuppa
di salvataggio, comunisti e democristiani di sinistra che si
erano finanziati come gli altri, ma che si erano opportunamente
alleati ai magistrati.
Una folla di indifferenti, mentre ogni giorno saltavano le
regole dello Stato di diritto, mentre veniva calpestata la
Costituzione, mentre si violavano le competenze territoriali, la
libertà personale e i diritti della difesa. Mentre si usava il
carcere come tortura per far parlare la gente. Mentre si
uccideva. Tanto la Storia la scrivono i vincitori, anche alle
spalle dei quarantuno che non ci sono più.
Articolo pubblicato su Il Garantista il 25
marzo 2015
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