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Risponde la Banca d’Italia

Quanto vale il lavoro delle donne?

di Nadia Butini

Quanto vale il lavoro delle donne? Risponde la Banca d’Italia: se in Italia le donne lavoratrici passassero dall’attuale 46,1% al 60%, il nostro Pil aumenterebbe del 7% e se, poi, venissero pagate come gli uomini, ci sarebbe un salto del 32%! Un investimento eccellente, ma per arrivarci quante cose dovrebbero cambiare.

Nell’organizzazione del mercato del lavoro e del lavoro stesso, nell’offerta (ora scarsa) di servizi e nella divisione del carico di lavoro in famiglia. Perché è il lavoro di cura che pesa sulle italiane, molto di più di quanto non accada in tanti altri Paesi europei. Un lavoro gratuito, ma gravoso, che le fa girare vorticosamente tutto il giorno tra figli, anziani e lavori domestici, il più delle volte non condivisi da mariti ritrosi a indossare il grembiule.

Alla scarsa attitudine collaborativa del coniuge si sommano poi la scarsità di asili e la esigua offerta di aiuto nella cura degli anziani. Molto, troppo, resta ancora da fare, ma laddove lo stato non può o non vuole arrivare si può pensare di coinvolgere i privati. Come? Basterebbe guardare fuori della porta di casa nostra e ci sarebbe tanto da imparare. Per esempio dalla Francia, dove non a caso lavora quasi il 70% delle donne, senza che questo impedisca loro di essere anche mogli e madri, visto che la Francia vanta uno dei più alti tassi di natalità del mondo occidentale.

Due anni fa sindacati, Confindustria e “Osservatorio sulla paternità nell’impresa” hanno sottoscritto una “Carta per valorizzare la paternità nel luogo di lavoro”. Così  aziende come Ernst&Young France, Areva, Renault o Sfr (telefoni) concedono ai padri un giorno alla settimana da passare con i figli (recuperabile in altri momenti), oppure di lavorare da casa tre giorni alla settimana, o ancora di entrare più tardi e uscire prima nel giorno di apertura delle scuole. Ci sono poi i congedi parentali, peraltro previsti anche dalla nostra normativa, di cui fruiscono padri e madri allo stesso modo. Certo, anche da noi sta cambiando la mentalità e lo si vede soprattutto tra i papà di 30-35 anni, capaci di cambiare pannolini, accudire i bimbi e aiutare nei lavori di casa. Sarebbe però auspicabile che questi nuovi papà venissero incoraggiati anche dai loro datori di lavoro. Succede oltralpe, perché non qui?

 

 

 

 

 

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