Quelli
che vorrebbero
far fuori gli
avvocati
dai processi
Caso Consip, che
pena quei giornalisti che
ignorano i fondamenti della
Costituzione e il diritto
alla Difesa
Gli
avvocati di Tiziano Renzi hanno
deciso di svolgere una indagine
difensiva sul caso Consip, e di
interrogare i testimoni di
accusa. Questo ha creato un
grande stupore. Forse anche
qualcosa di più: una certa
indignazione. Soprattutto tra i
giornalisti, la maggioranza dei
quali, probabilmente, non
conosce l’esistenza di questa
procedura.
Per una ragione
semplice: considera il
procedimento giudiziario un
lavoro di indagine e di giudizio
interamente affidato ai
magistrati, ai quali è
demandato, dallo Stato, il
compito e il potere esclusivo di
farsi un convincimento, trovare
le prove o almeno gli indizi,
affermare la verità e poi
erogare la pena. Invece non è
così. I giornalisti,
generalmente, sebbene moltissimi
di loro abbiano iniziato a
lavorare dopo il 1988 ( cioè
dopo l’entrata in vigore del
nuovo codice di procedura
penale) ignorano il fatto che in
Italia la Costituzione e le
leggi prevedono che accusa e
difesa siano sullo stesso piano,
si contrappongano liberamente in
condizioni di parità e che il
confronto tra loro sia il
meccanismo che serve a cercare
la verità.
E così, per
esempio, ieri Il Fatto
Quotidiano ha sparato un
titolo gigantesco e furioso, in
prima pagina, che dice
testualmente: « L’accusatore
Marroni è avvisato: resta in
Consip e deve ritrattare» .
L’uso dell’italiano è un po’
incerto, ma la riga sopra il
titolo ( in gergo si chiama
l’occhiello) spiega bene il
perché di questa denuncia:
«GRANDI MANOVRE: l’avvocato di
Tiziano Renzi: “Lo sentiamo
nelle indagini difensive”». Il
giornale di Travaglio ritiene
che la decisione degli avvocati
di Renzi di avviare indagini
difensive, e di ascoltare i
testimoni, sia nella sostanza
una gigantesca e intollerabile
opera di intimidazione, che
punta a scagionare il signor
Tiziano. E la malignità
dell’azione degli avvocati è
evidente e indiscutibile, e sta
proprio in questa perniciosa
intenzione di scagionare Tiziano
Renzi, e forse, di conseguenza,
anche il ministro Lotti, e in
questo modo mandare a gambe
all’aria tutta l’inchiesta ( che
se perde questi due imputati
diventa acqua fresca che non
interessa i giornali e che non
ha la possibilità di far saltare
i rapporti di forza in
politica). C’è bisogno di prove
ulteriori per capire quanto sia
grande la mascalzonata degli
avvocati di Tiziano?
L’articolo che
sostiene questa denuncia del
Fatto è firmato da Marco
Lillo, cioè dal giornalista che
sin qui ha ricevuto illegalmente
e pubblicato molte informazioni
riservate sull’inchiesta, e ora
però è rimasto a secco dopo la
sciabolata del Procuratore
Pignatone che ha esautorato il
“Noe” ( il nucleo ecologico dei
carabinieri) e ha ( per il
momento) bloccato la fuga di
notizie e mandato nel panico i
“giornalisti d’inchiesta”. Ieri
Lillo non aveva nessun verbale
da pubblicare e nessun segreto
d’ufficio da rivelare e perciò
si è dovuto occupare dei
difensori di Renzi. Scrive, a un
certo punto, esattamente così:
«La mossa difensiva
dell’avvocato di Tiziano Renzi,
Federico Bagattini, punta al
cuore del teorema accusatorio e
rende ancora più evidente la
situazione paradossale». Qual è
il paradosso? Chiaro: che gli
avvocati tentino di smontare le
accuse! Lillo sostiene questa
tesi in tutta tranquillità e in
evidentissima buona fede. E
sempre in buona fede usa con
grinta la parola “teorema”, per
farci capire che la giustizia
vera, quella giusta, si fa così:
coi teoremi. Le indagini?
Rischiano di diventare un
intralcio, specie se sono
riservate. Meglio il teorema.
Voi magari
direte che su queste cose c’è un
po’ da ridere. Non è vero. Non
c’è niente, nientissimo da
ridere. Il giornalismo italiano
è straconvinto che il ruolo di
un avvocato in un processo non
abbia nulla a che fare con la
ricerca della verità né con la
contrapposizione all’accusa, ma
debba mantenersi nei limiti
dignitosi della richiesta di
clemenza. L’idea che l’avvocato
sia un elemento fondamentale
della costruzione del processo e
della produzione della
giustizia, e che sia uno dei
pilastri dello Stato di diritto,
non è presa nemmeno in
considerazione. E siccome so con
certezza che le cose stanno
così, adesso ricopio, parola per
parola, alcuni commi
dell’articolo 111 della nostra
carta costituzionale, e propongo
ai dirigenti dell’ordine dei
giornalisti di introdurre tra le
prove d’esame per diventare
giornalisti professionisti, una
prova che preveda la recitazione
a memoria di questo caposaldo
nella nostra civiltà giuridica.
Dice l’articolo 111, dal secondo
comma in poi: «Ogni processo si
svolge nel contraddittorio tra
le parti, in condizioni di
parità, davanti a giudice terzo
e imparziale. La legge ne
assicura la ragionevole durata.
Nel processo
penale, la legge assicura che la
persona accusata di un reato
sia, nel più breve tempo
possibile, informata
riservatamente della natura e
dei motivi dell’accusa elevata a
suo carico; disponga del tempo e
delle condizioni necessari per
preparare la sua difesa; abbia
la facoltà, davanti al giudice,
di interrogare o di far
interrogare le persone che
rendono dichiarazioni a suo
carico, di ottenere la
convocazione e l’interrogatorio
di persone a sua difesa nelle
stesse condizioni dell’accusa e
l’acquisizione di ogni altro
mezzo di prova a suo favore (…)
Il processo penale è regolato
dal principio del
contraddittorio nella formazione
della prova. La colpevolezza
dell’imputato non può essere
provata sulla base di
dichiarazioni rese da chi, per
libera scelta, si è sempre
volontariamente sottratto
all’interrogatorio da parte
dell’imputato o del suo
difensore».
E’
impressionante non la lontananza
ma la assoluta incompatibilità
tra questo articolo della
Costituzione e le teorie del
Fatto, condivise da un gran
numero di giornalisti di tanti
tanti altri giornali. Eppure
proprio il Fatto, mica
tanto tempo fa ( un paio di
mesi) era stato la punta di
lancia di uno schieramento che
sosteneva che chi mette in
discussione la Costituzione è un
golpista o giù di lì. Sono i
capolavori imprevisti della
buona fede. Difendere, con
impeto, le cose che non si
conoscono.
Articolo di Piero
Sansonetti pubblicato su
IlDubbio l'8 marzo 2017 |
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