Essere
antifascisti è impedire ai
neofascisti di manifestare
Il discorso di Sandro Pertini a
Genova nel 1960
di Sandro Pertini
Gente del popolo, partigiani
e lavoratori, genovesi di tutte
le classi sociali. Le autorità
romane sono particolarmente
interessate e impegnate a
trovare coloro che esse
ritengono i sobillatori, gli
iniziatori, i capi di queste
manifestazioni di antifascismo.
Ma non fa bisogno che quelle
autorità si affannino molto: ve
lo dirò io, signori, chi sono i
nostri sobillatori: eccoli qui,
eccoli accanto alla nostra
bandiera: sono i fucilati del
Turchino, della Benedicta,
dell’Olivetta e di Cravasco,
sono i torturati della casa
dello Studente che risuona
ancora delle urla strazianti
delle vittime, delle grida e
delle risate sadiche dei
torturatori. Nella loro memoria,
sospinta dallo spirito dei
partigiani e dei patrioti, la
folla genovese è scesa
nuovamente in piazza per
ripetere “no” al fascismo, per
democraticamente respingere,
come ne ha diritto, la
provocazione e l’offesa.
Io nego – e tutti voi
legittimamente negate – la
validità della obiezione secondo
la quale il neofascismo avrebbe
diritto di svolgere a Genova il
suo congresso. Infatti, ogni
atto, ogni manifestazione, ogni
iniziativa, di quel movimento è
una chiara esaltazione del
fascismo e poiché il fascismo,
in ogni sua forma è considerato
reato dalla Carta
Costituzionale, l’attività dei
missini si traduce in una
continua e perseguibile apologià
di reato.
Si tratta del resto di un
congresso che viene qui
convocato non per discutere, ma
per provocare, per contrapporre
un vergognoso passato alla
Resistenza, per contrapporre
bestemmie ai valori politici e
morali affermati dalla
Resistenza.
Ed è ben strano l’atteggiamento
delle autorità costituite le
quali, mentre hanno sequestrato
due manifesti che esprimevano
nobili sentimenti, non ritengono
opportuno impedire la
pubblicazione dei libelli
neofascisti che ogni giorno
trasudano il fango della
apologia del trascorso regime,
che insultano la Resistenza, che
insultano la Libertà.
Dinanzi a queste provocazioni,
dinanzi a queste
discriminazioni, la folla non
poteva che scendere in piazza,
unita nella protesta, né
potevamo noi non unirci ad essa
per dire no come una volta al
fascismo e difendere la memoria
dei nostri morti, riaffermando i
valori della Resistenza.
Questi valori, che resteranno
finché durerà in Italia una
Repubblica democratica sono: la
libertà, esigenza inalienabile
dello spirito umano, senza
distinzione di partito, di
provenienza, di fede. Poi la
giustizia sociale, che completa
e rafforza la libertà, l’amore
di Patria, che non conosce le
follie imperialistiche e le
aberrazioni nazionalistiche,
quell’amore di Patria che ispira
la solidarietà per le Patrie
altrui.
La Resistenza ha voluto queste
cose e questi valori, ha
rialzato le glorie del nostro
nuovamente libero paese dopo
vent’anni di degradazione subita
da coloro che ora vorrebbero
riapparire alla ribalta,
tracotanti come un tempo. La
Resistenza ha spazzato coloro
che parlando in nome della
Patria, della Patria furono i
terribili nemici perché l’hanno
avvilita con la dittatura,
l’hanno offesa trasformandola in
una galera, l’hanno degradata
trascinandola in una guerra
suicida, l’hanno tradita
vendendola allo straniero. Noi,
oggi qui, riaffermiamo questi
principi e questo amor di patria
perché pacatamente, o signori,
che siete preposti all’ordine
pubblico e che bramate essere
benevoli verso quelli che ho
nominato poc’anzi e che guardate
a noi, ai cittadini che
gremiscono questa piazza,
considerandoli nemici della
Patria, sappiate che coloro che
hanno riscattato l’Italia da
ogni vergogna passata, sono
stati questi lavoratori, operai
e contadini e lavoratori della
mente, che noi a Genova vedemmo
entrare nelle galere fasciste
non perché avessero rubato, o
per un aumento di salario, o per
la diminuzione delle ore di
lavoro, ma perché intendevano
battersi per la libertà del
popolo italiano, e, quindi,
anche per le vostre libertà.
E’ necessario ricordare che
furono quegli operai, quegli
intellettuali, quei contadini,
quei giovani che, usciti dalle
galere si lanciarono nella
guerra di Liberazione,
combatterono sulle montagne,
sabotarono negli stabilimenti,
scioperarono secondo gli ordini
degli alleati, furono deportati,
torturati e uccisi e morendo
gridarono “Viva l’Italia”, “Viva
la Libertà”. E salvarono la
Patria , purificarono la sua
bandiera dai simboli fascista e
sabaudo, la restituirono pulita
e gloriosa a tutti gli italiani.
Dinanzi a costoro, dinanzi a
questi cittadini che voi spesso
maledite, dovreste invece
inginocchiarvi, come ci si
inginocchia di fronte a chi ha
operato eroicamente per il bene
comune.
Ma perché, dopo quindici anni,
dobbiamo sentirci nuovamente
mobilitati per rigettare i
responsabili di un passato
vergognoso e doloroso, i quali
tentano di tornare alla ribalta?
Ci sono stati degli errori,
primo di tutti la nostra
generosità nei confronti degli
avversari. Una generosità che ha
permesso troppe cose e per la
quale oggi i fascisti la fanno
da padroni, giungendo a
qualificare delitto l’esecuzione
di Mussolini a Milano. Ebbene,
neofascisti che ancora una volta
state nell’ombra a sentire, io
mi vanto di avere ordinato la
fucilazione di Mussolini, perché
io e gli altri, altro non
abbiamo fatto che firmare una
condanna a morte pronunciata dal
popolo italiano venti anni
prima.
Un secondo errore fu l’avere
spezzato la solidarietà tra le
forze antifasciste, permettendo
ai fascisti d’infiltrarsi e di
riemergere nella vita nazionale,
e questa frattura si è
determinata in quanto la classe
dirigente italiana non ha inteso
applicare la Costituzione là
dove essa chiaramente proibisce
la ricostituzione sotto
qualsiasi forma di un partito
fascista ed è andata più in là,
operando addirittura una
discriminazione contro gli
uomini della Resistenza, che è
ignorata nelle scuole;
tollerando un costume vergognoso
come quello di cui hanno dato
prova quei funzionari che si
sono inurbanamente comportati
davanti alla dolorosa
rappresentanza dei familiari dei
caduti.
E’ chiaro che così facendo si va
contro lo spirito cristiano che
tanto si predica, contro il
cristianesimo di quegli eroici
preti che caddero sotto il
piombo fascista, contro il
fulgido esempio di Don Morosini
che io incontrai in carcere a
Roma, la vigilia della morte,
sorridendo malgrado il martirio
di giornate di tortura. Quel Don
Morosini che è nella memoria di
tanti cattolici, di tanti
democratici, ma che Tambroni ha
tradito barattando il suo
sacrificio con 24 voti, sudici
voti neofascisti.
Si va contro coloro che hanno
espresso aperta solidarietà,
contro i Pastore, contro Bo,
Maggio, De Bernardis, contro
tutti i democratici cristiani
che soffrono per la odierna
situazione, che provano vergogna
di un connubio inaccettabile.
Oggi le provocazioni fasciste
sono possibili e sono protette
perché in seguito al baratto di
quei 24 voti, i fascisti sono
nuovamente al governo, si
sentono partito di governo, si
sentono nuovamente sfiorati
dalla gloria del potere, mentre
nessuno tra i responsabili,
mostra di ricordare che se non
vi fosse stata la lotta di
Liberazione, l’Italia,
prostrata, venduta, soggetta
all’invasione, patirebbe ancora
oggi delle conseguenze di una
guerra infame e di una sconfitta
senza attenuanti, mentre fu
proprio la Resistenza a
recuperare al Paese una
posizione dignitosa e libera tra
le nazioni.
Il senso, il movente, le
aspirazioni che ci spinsero alla
lotta, non furono certamente la
vendetta e il rancore di cui
vanno cianciando i miserabili
prosecutori della tradizione
fascista, furono proprio il
desiderio di ridare dignità alla
Patria, di risollevarla dal
baratro, restituendo ai
cittadini la libertà. Ecco
perché i partigiani, i patrioti
genovesi, sospinti dalla memoria
dei morti sono scesi in Piazza:
sono scesi a rivendicare i
valori della Resistenza, a
difendere la Resistenza contro
ogni oltraggio, sono scesi
perché non vogliono che la loro
città, medaglia d’oro della
Resistenza, subisca l’oltraggio
del neofascismo.
Ai giovani, studenti e operai,
va il nostro plauso per
l’entusiasmo, la fierezza., il
coraggio che hanno dimostrato.
Finché esisterà una gioventù
come questa nulla sarà perduto
in Italia.
Noi anziani ci riconosciamo in
questi giovani. Alla loro età
affrontavamo, qui nella nostra
Liguria, le squadracce fasciste.
E non vogliamo tradire, di
questa fiera gioventù, le ansie,
le speranze, il domani, perché
tradiremmo noi stessi. Così,
ancora una volta, siamo
preparati alla lotta, pronti ad
affrontarla con l’entusiasmo, la
volontà la fede di sempre.
Qui vi sono uomini di ogni fede
politica e di ogni ceto sociale,
spesso tra loro in contrasto,
come peraltro vuole la
democrazia. Ma questi uomini
hanno saputo oggi, e sapranno
domani, superare tutte le
differenziazioni politiche per
unirsi come quando l’8 settembre
la Patria chiamò a raccolta i
figli minori, perché la
riscattassero dall’infamia
fascista.
A voi che ci guardate con
ostilità, nulla dicono queste
spontanee manifestazioni di
popolo? Nulla vi dice questa
improvvisa ricostituita unità
delle forze della Resistenza?
Essa costituisce la più valida
diga contro le forze della
reazione, contro ogni avventura
fascista e rappresenta un monito
severo per tutti. Non vi riuscì
il fascismo, non vi riuscirono i
nazisti, non ci riuscirete voi.
Noi, in questa rinnovata unità,
siamo decisi a difendere la
Resistenza, ad impedire che ad
essa si rechi oltraggio.
Questo lo consideriamo un nostro
preciso dovere: per la pace dei
nostri morti, e per l’avvenire
dei nostri vivi, lo compiremo
fino in fondo, costi quello che
costi.
23 maggio 2019
Sandro Pertini
L'idea di socialismo
Loris Fortuna
Pietro Nenni
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